Marte
ha da sempre suscitato curiosità e stimolato la fantasia di molti di
noi. Fin dai tempi delle prime osservazioni astronomiche del 1600 chi si
è approcciato all’osservazione del pianeta rosso non ha potuto fare a
meno di sentire una certa “famigliarità” con esso… un legame.
Il primo ad osservare Marte al
telescopio fu Galileo nel 1610. In quell’anno Marte fu all’opposizione
il 19 ottobre nella costellazione dei Pesci con una magnitudine di -2,5.
Il rudimentale strumento di Galileo mostrò un piccolo disco senza
dettagli, tuttavia Galileo scoprì che Marte non era perfettamente
circolare ma presentava il fenomeno delle fasi.
Marte era abitabile
Fino a non molto tempo fa l’idea
presentata dalla scienza e dalle agenzie astronomiche come la NASA e la
ESA era quella di un pianeta sfortunato, situato sì all’interno della
cosiddetta zona “abitabile” (o CHZ) e pertanto potenzialmente adatto a
supportare la vita, ma che non aveva mai avuto la ‘fortuna’ di possedere
quelle condizioni ambientali necessarie allo sviluppo della stessa.
La mancanza di un’atmosfera, di un campo
magnetico come quello terrestre, l’assenza di acqua allo stato liquido
inducono a pensare a un pianeta deserto, un enorme globo morto composto
da roccia e polvere orbitante alla propria stella.
Dopo ipotesi, congetture e smentite la
scienza sembra aver raggiunto dati conclusivi. Analizzando i dati
inviati dalle sonde e dai rover inviati sulla superficie si è ormai
giunti alla conclusione che sul pianeta rosso c’era tanta acqua liquida,
con laghi che 3,6 miliardi di anni fa erano alimentati da fiumi che
scorrevano in superficie e, con essa, tutti gli ingredienti necessari
alla vita. La storia più antica di Marte “è scritta nelle sue rocce”,
osservano i ricercatori che hanno studiato i dati raccolti dal
robot-laboratorio Curiosity, inviato su Marte dalla Nasa con la missione
Mars Science Laboratory (Msl) e arrivato sul suolo marziano il 6 agosto
2012. I risultati del loro lavoro, pubblicati in sei articoli su
Science, descrivono un Marte antichissimo e inedito, molto diverso dal
pianeta rosso e arido che conosciamo oggi.
Curiosity ha trovato gli ingredienti
della vita nel cratere Gale. Curiosity li ha individuati nel cratere
Gale, il cratere dal diametro di 150 chilometri nel quale era atterrata,
nelle rocce sedimentarie della zona chiamata Yellowknife Bay, vicino
l’Equatore marziano.
Dove per un lunghissimo periodo (decine
di migliaia di anni, ma forse anche per centinaia di migliaia di anni)
c’è stato un lago, sono stati scoperti carbonio, idrogeno, zolfo, azoto e
fosforo. La presenza di questi elementi, con l’acqua del lago che
occupava il cratere Gale, faceva di Marte “un ambiente abitabile”, come
lo hanno definito i ricercatori, e capace di ospitare microrganismi
chemiolitoautotrofi, capaci cioè di ottenere da rocce e minerali
l’energia della quale avevano bisogno per vivere. Oltre all’acqua,
prosegue “serve una fonte di energia che alimenti il metabolismo dei
microrganismi, come carbonio, idrogeno, zolfo, azoto e fosforo”.
Ora si sa che su Marte questi elementi
c’erano e questo, per Grotzinger, suggerisce che “nei primissimi
miliardi di anni della sua storia la superficie di Marte fosse
notevolmente diversa da quella attuale”. Adesso, aggiunge il ricercatore
su Science, “siamo in grado di dimostrare che il cratere Gale una volta
ospitava un antico lago con caratteristiche adeguate a supportare una
biosfera marziana basata su chemiolitoautotrofi”.
Acqua, tanta acqua
Infine, uno degli aspetti più
sconcertanti della geologia di Marte è il ruolo che l’acqua ha giocato
nell’evoluzione del pianeta, mostrando i segni di un’inondazione
catastrofica che diede forma alle sue pareti lisce e scavò anche caverne
sotterranee profonde molte centinaia di metri, incidendo isole
affusolate a forma di goccia, lunghe da un’estremità all’altra fino a
100 chilometri.
L’inondazione procedeva molto
velocemente: così rapidamente da fornire punte di portata di milioni di
metri cubi al secondo. Neppure l’atmosfera densa della Terra può fornire
acqua così velocemente da causare simili portate di dimensioni
analoghe. Soltanto i crolli delle dighe hanno causato flussi di
macro-erosione significativi. Si è calcolato che il volume di acqua
necessario a tagliare i canali doveva essere enorme. Peter Cattermole
ritiene che sia stato pari allo spostamento di un oceano globale
profondo più di 50 metri.
Un’altra grande inondazione avvenne
nella Ares Vallis. Le fotografie inviate dal modulo d’atterraggio
Pathfinder della NASA nel luglio del 1997 mostrano che, un tempo, questo
immenso canale era colmo di acqua per chilometri e chilometri. “Deve
esser stato imponente. Paragonabile al diluvio che riempì il bacino del
Mediterraneo sulla Terra”, ebbe a dire Michael Malin, scienziato
ideatore del Pathfinder.
Apocalisse Marziana
Tra le ipotesi avanzate dai ricercatori
sulla scomparsa dell’atmosfera di Marte, c’è ne una che parte da una
curiosa anomalia della superficie del pianeta rosso. La crosta marziana,
infatti, sembra essere divisa all’equatore in due zone morfologicamente
molto diverse, perfettamente distinte e nettamente separate: i
basso-piani dell’emisfero settentrionale relativamente lisci e senza
crateri, la maggior parte dei quali giace ad almeno 1000 metri sotto il
livello dato e gli altopiani dell’emisfero meridionale, massicciamente
craterizzati, che in gran parte si innalzano a più di 2 mila metri sopra
il livello dato. “ La linea di divisione che separa queste due zone
elevate descrive un grande cerchio inclinato approssimativamente a 35
gradi rispetto all’equatore marziano”, spiega il geologo Peter
Cattermole.
Le eccezioni principali alla topografia
del liscio emisfero settentrionale sono il rigonfiamento del monte
Elysium, di Tharsis, il quale scavalca la linea di divisione. Invece, le
eccezioni principali alla topografia dell’emisfero meridionale sono
alcune parti delle Valles Marineris e due notevoli crateri, Argyre e
Hellas, formati da impatti con comete o asteroidi. Argyre è profondo 3
chilometri e ha un diametro di 630 chilometri. Hellas è profondo 5
chilometri e ha un diametro di circa 2 mila chilometri.
Questi crateri, insieme a un terzo,
Isidis, sono i più larghi esistenti su Marte. Ma il pianeta possiede
innumerevoli altri crateri con un diametro di 30 o più chilometri, molti
dei quali, compreso uno al polo sud, sono mostruosamente grandi:
superano infatti i 200 chilometri di diametro. Nel complesso, oltre a
decine di migliaia di crateri più piccoli con il diametro che misura al
massimo un chilometro, su Marte sono stati contati 3305 crateri larghi
più di 30 chilometri.
E’ difficile spiegare perché 3068 di
essi, cioè il 93 per cento, si trovi a sud della linea di divisione;
soltanto 237 crateri di questa ampiezza sono stati trovati a nord della
linea di divisione. Ugualmente curioso è il fatto che l’emisfero senza
crateri sia tanto meno elevato (è infatti più basso di parecchie
migliaia di metri) rispetto alla parte craterizzata.
La causa di questa divisione
bassopiano-altopiano, come osserva il geologo Ronald Greely, “rimane uno
dei principali problemi irrisolti di Marte”. L’unica certezza è che a
un certo punto della sua storia il pianeta fu afflitto da un cataclisma
di dimensioni quasi inimmaginabili.
L’ipotesi avanzata dai ricercatori è che
un corpo celeste di considerevoli dimensioni, forse una grande cometa o
un planetoide vagante, possa aver impattato il pianeta rosso nella zona
settentrionale, sventrando la crosta marziana e formando un oceano di
lava fluida grande quanto l’intero emisfero nord. L’immenso impatto
avrebbe spinto il materiale magmatico verso l’emisfero meridionale,
causandone l’innalzamento delle crosta e le notevoli catene montuose. Il
raffreddamento dell’oceano di magma nell’emisfero settentrionale
giustificherebbe la relativa superficie liscia e la maggiore depressione
rispetto all’emisfero meridionale.
Da segni inconfondibili si deduce che
molti dei crateri più grandi e profondi di Marte nel raggio di oltre 30
chilometri si sono formati quando il pianeta aveva un ambiente umido e
caldo. Hellas, Isidis e Argyre in particolare hanno margini bassi e
indistinti e il fondo piatto: queste caratteristiche, secondo molti
autorevoli scienziati, dimostrano che la loro formazione risale a quando
Marte aveva ancora un’atmosfera densa, era soggetto a una rapida
erosione e possedeva un campo magnetico più forte rispetto ad oggi. Allo
stesso modo sulla Terra crateri di grandi dimensioni scavati
dall’erosione possono integrarsi nel paesaggio in un periodo di alcune
centinaia di anni al punto da diventare praticamente irriconoscibili
dall’ambiente circostante.
L’ipotesi è quindi che l’atmosfera sia
stata spazzata via dall’immenso impatto con il corpo celeste. Dal
momento che la forza di gravità su Marte è molto debole, è più facile
per la nube di detriti che si espande da un impatto, distruggere tutta
l’atmosfera del pianeta.
Ma la cosa più sconvolgente è leggere
quando questi scienziati collocano il momento in cui è avvenuto tutto
ciò. In Gran Bretagna, Colin Pillinger e il suo studio sui meteoriti di
Marte dimostrerebbe che l’acqua allo stato liquido, e una qualche forma
di vita primitiva, possano essere esistite sul Pianeta Rosso fino a
500/600 mila anni fa. Altri ricercatori, propendono per una datazione
ancora più recente: un grande cataclisma avrebbe colpito Marte
privandolo violentemente della sua atmosfera e dell’acqua meno di 17
mila anni fa!
La superficie di Marte è un misterioso
puzzle. Tra i suoi strati è scritta la storia della morte di un mondo.
Può essere che non ci si debba inoltrare in un passato risalente a
miliardi di anni fa e il destino che gravò su Marte, forse, non lasciò
completamente indenne neppure la Terra considerato il fatto che il
periodo citato da Colin Pillinger riporta automaticamente alla mente
quanto descritto in noti miti Sumeri quali l’Enuma Elish.
Terra di Sumer
Enuma Elish rappresenta
il più antico testo scritto documentato sulla creazione, in lingua
babilonese e derivante da una versione originale sumera ancora più
antica. I protagonisti sono gli dei che, attraverso battaglie e divine
alleanze, donano all’opera una struttura epica e avvincente, con tanto
di ribellioni, uccisioni e trionfi.
I sumeri volevano descrivere la
creazione di tutte le cose in chiave “mitologica”, ma nello stesso tempo
conoscevano perfettamente il Sistema Solare e la sua origine. Anzi,
conoscevano qualcosa che oggi noi stentiamo a credere: la presenza di un
pianeta chiamato Nibiru. L’Enuma Elish riesce a conformare le vicende
degli dei e le loro battaglie rispettivamente alla fisica dei corpi
celesti e alle loro collisioni, tanto per fare un esempio.I nomi degli
dei sono attribuibili ai nomi dei pianeti; le azioni degli dei, le loro
decisioni, le loro alleanze, le uccisioni coincidono incredibilmente con
i moti dei corpi celesti, con le attrazioni reciproche dovute alle
forze di gravità, con le loro orbite, con le loro inevitabili
collisioni.
Inizialmente il Sistema Solare era
instabile e caotico, dove le orbite dei pianeti non erano ancora
stabilmente definite. Questa diventava la premessa per l’inizio della
battaglia celeste: la continua instabilità dei pianeti (gli dei celesti)
provocò turbamento a Tiamat e lo spinse a formare la sua terribile
“schiera”, formata dai suoi satelliti (i “draghi ruggenti, ammantati di
terrore”). Tale situazione, generando ulteriore pericolo e disordine,
spinse Ea/Nettuno, il pianeta più esterno, a riequilibrare il Sistema
Solare e inviarvi un pianeta (“un dio celeste più grande”) che veniva da
lontano. Era un pianeta pieno di splendore, di nome Nibiru (Marduk per i
babilonesi), coinvolto direttamente nella battaglia celeste che
descrive il testo: a causa del senso orario di rotazione della sua
orbita, opposto a quello di tutti gli altri pianeti, Nibiru/Marduk sarà
destinato a collidere inevitabilmente con Tiamat.
Due erano quindi i fronti opposti coinvolti: Tiamat, con i suoi
ruggenti satelliti e Marduk/Nibiru con l’appoggio dei pianeti più
esterni, quali Ea, Anshar, Lahmu, Lahamu e Kishar.“… Tutto era pronto, la battaglia celeste tra Tiamat e Marduk stava per avere inizio. Il Signore distese la sua rete per intrappolarla, le scagliò in faccia il Vento del Male, che gli stava dietro. Quando Tiamat aprì la bocca per divorarlo, le scatenò contro il Vento del Male, così che lei non riuscì a richiudere le labbra…”
Lo scontro fra i due pianeti avvenne in due fasi ben distinte:
- Prima fase: Marduk attacca Tiamat con i suoi venti (satelliti), “spezzandole il cuore” e “spegnendo il suo soffio vitale”. Kingu, pronto a diventare un pianeta a tutti gli effetti, viene condannato ad essere un Dug.ga.e (“circolatore senza vita”, quindi senza atmosfera),
- Seconda fase: completata la prima orbita e quindi la prima fase, Marduk ritorna da Tiamat ormai “sottomesso” ed entra in collisione diretta, aprendola in due. Secondo l’interpretazione di Sitchin la metà superiore (il “cranio”) di Tiamat diventerà il nostro pianeta Terra, mentre la parte inferiore viene ridotta in frantumi che, legati tra loro come un bracciale, andranno a formare la fascia degli asteroidi (il “bracciale martellato”).
Ma se invece la dettagliata descrizione
offertaci dall’Enuma Elish raccontasse dello scontro planetario occorso
al pianeta rosso centinaia di migliaia di anni fa?!
Se così fosse quanto descritto sempre
dal Sitchin relativamente all’arrivo degli Anunnaki sulla Terra
assumerebbe un significato diverso e, se possibile, ancora più
affascinante. Già, perché sempre Sitchin racconta di come costoro
giunsero sulla Terra giustappunto tra 500/450mila anni fa, ovvero nello
stesso periodo (con uno scarto di qualche decina di migliaia di anni) in
cui Pillinger colloca lo scontro planetario che uccise Marte.
Le diverse teorie su Marte, su Nibiru,
su Tiamat, sugli Anunnaki si fondono e si mescolano insieme facendo
emergere una ipotesi leggermente diversa da quella presentataci nei
numerosi testi della mitologia sumera tradotti da Sitchin.
Una ipotesi che vede gli Anunnaki forse autoctoni di Marte.
Possiamo allora avere un’idea di Marte
completamente diversa, ovvero quella di un pianeta che centinaia di
migliaia di anni fa era molto, molto, più simile alla Terra di quanto
non avevamo mai immaginato prima d’ora. Se infatti ormai abbiamo
compreso di come Marte fosse stato un pianeta la cui superficie era
solcata da fiumi e bagnata da oceani e dove il clima era caratterizzato
da stagioni simili a quelle terrestri cosa ci vieta di immaginare la
presenza di un ecosistema ricco di vita, nello stesso modo in cui questo
si è realizzato sulla Terra in centinaia di milioni, anzi miliardi, di
anni? Questo almeno fino al cataclisma planetario ipotizzato da
Pillinger.
E allora, Marte potrebbe avere offerto i
natali a esseri viventi senzienti e intelligenti, in grado di popolare e
civilizzare il pianeta: gli Anunnaki di Sitchin, ‘sfrattati’ per così
dire, dall’arrivo di Nibiru e dalla distruzione della loro ‘casa’
costringendoli a emigrare, salvando il salvabile, verso il pianeta più
prossimo al loro che, fortunatamente per loro, era anch’esso un pianeta
‘vivo’: la Terra!
Una ipotesi non del tutto assurda se andiamo ad approfondire i numerosi interrogativi ancora aperti sulla questione marziana.
Uno dei maggiori planetografi
internazionali è Ennio Piccaluga. Nel suo libro “Ossimoro Marte”
l’ingegner Piccaluga ha utilizzato un efficace sistema per analizzare
attentamente le innumerevoli foto della superficie di Marte contenute
negli archivi della NASA e ha osservato come sul pianeta rosso ci siano
tracce di opere costruite da esseri intelligenti. Tra queste, in
particolare, ci sono dei veri e propri ziggurat che ricordano le
piramidi a gradoni dei Sumeri. Ciò avvalora quanto dicono le tavolette
sumere, e cioè che gli Anunnaki avrebbero colonizzato in passato sia la
Terra che Marte.
Il fascino di Cydonia
Riguardo alla dibattuta Faccia di
Cydonia, – la famosa formazione montuosa con le sembianze di un volto
umano, ripresa per la prima volta nel 1976 dalla sonda Viking 1 -,
secondo Piccaluga potrebbe essere la rappresentazione del sovrano
annunako Alalu come del resto una delle tavolette sumere dice:
“Sulla grande montagna rocciosa scolpirono con i raggi l’immagine di Alalu… Che l’effigie di Alalu guardi per sempre verso Nibiru dove regnò e verso la Terra il cui oro egli ha scoperto”
La famosa “faccia” osservata nella vallata di Cydonia
La Nasa non è certo all’oscuro delle teorie sugli Anunnaki e del contenuto delle tavolette sumere.
Qualche decennio prima degli studi di Sitchin, infatti, il grande astrofisico Carl Sagan – una delle massime autorità a livello mondiale – aveva scritto vari articoli in cui faceva notare come alcune tavolette sumere rappresentassero il nostro sistema solare con i pianeti Plutone e Nettuno, – che noi, lo ricordiamo, abbiamo scoperto recentemente – , più un altro sconosciuto pianeta.
Qualche decennio prima degli studi di Sitchin, infatti, il grande astrofisico Carl Sagan – una delle massime autorità a livello mondiale – aveva scritto vari articoli in cui faceva notare come alcune tavolette sumere rappresentassero il nostro sistema solare con i pianeti Plutone e Nettuno, – che noi, lo ricordiamo, abbiamo scoperto recentemente – , più un altro sconosciuto pianeta.
Sagan si chiedeva se quello fosse il
pianeta dal quale fossero scesi gli antichi dei di cui ci parlano tutte
le mitologie antiche.
Ebbene, nel disco fonografico contenuto nelle sonde NASA Voyager 1 e 2, lanciate nel 1977 verso lo spazio alla ricerca di un contatto con civiltà extraterrestri, oltre a immagini e suoni terrestri, sono incisi saluti in 55 lingue diverse. Sono tutte lingue attualmente parlate nel mondo tranne una, quella scelta per il primo saluto, che è proprio il sumero. A scegliere questa lingua fu proprio il dottor Carl Sagan, che all’epoca guidava il team NASA.
Ebbene, nel disco fonografico contenuto nelle sonde NASA Voyager 1 e 2, lanciate nel 1977 verso lo spazio alla ricerca di un contatto con civiltà extraterrestri, oltre a immagini e suoni terrestri, sono incisi saluti in 55 lingue diverse. Sono tutte lingue attualmente parlate nel mondo tranne una, quella scelta per il primo saluto, che è proprio il sumero. A scegliere questa lingua fu proprio il dottor Carl Sagan, che all’epoca guidava il team NASA.
Era stato lui, insieme ad Eric Burgess,
ad ideare il primo messaggio interstellare ovvero una targa, applicata
alla carlinga del Pioneer 10, raffigurante il nostro sistema solare, la
posizione terrestre, un uomo e una donna e lo chassid stesso del
Pioneer.
Secondo lo studioso il complesso
architettonico, gigantesco, di Cydonia era stato realizzato ed orientato
500.000 anni fa in direzione del sol nascente durante il solstizio
d’estate del pianeta rosso. La “città di Marte” avrebbe dovuto obbedire
alle regole della geometria sacra che ritroviamo in molti siti santuario
del nostro pianeta. Ciò che rimaneva era solamente una parte di questo
immenso progetto architettonico concepito dagli allora abitanti di
Marte.
Un fatto curioso è la datazione
stabilita dai Sumeri in relazione all’arrivo degli dèi sulla terra e
della fondazione della colonia su Gaia (Eridu, la terra tra i due
fiumi): 480.000 anni fa.
Forse Cydonia fu una delle città degli
Anunnaki, prima che venissero costretti a emigrare verso la Terra
portando con essi quelle tecnologie, quei saperi e quelle conoscenze
geometriche ed architettoniche che poi insegnarono all’umanità centinaia
di migliaia di anni dopo?
Per Hoagland non era però il viso la
parte fondamentale dell’intero schema bensì la piramide a 5 lati
chiamata “D&M” in onore dei due tecnici NASA scopritori. Hoagland
era convinto che la disposizione dei presunti monumenti non fosse
casuale e il codice di Cydonia fu interpretato per la prima volta da
Erol Turon, della divisione di Cartografia del Ministero della Difesa
degli Stati Uniti: la struttura piramidale, enorme (1,5×2,2 km alta
1.000 m) ha la forma della “sezione aurea” di Leonardo da Vinci.
Turon scoprì anche che l’angolo, la
distanza e le costanti matematiche della piramide sono gli stessi che
s’incontrano in tutto il complesso; le costanti si ottengono dal
rapporto esistente tra epsilon e pi greco: il quoziente che ne risulta è
0,865; tale valore esprime una funzione trigonometrica corrispondente
al valore della tangente di un angolo di 40,87°, lo stesso della
latitudine di Marte in cui insiste il vertice della piramide.
Stan Tenen, per anni occupato a tradurre
le costanti geometriche dei monumenti santuario, riuscì a costruire,
grazie al rapporto epsilon/pi greco, un modello di tetraedro inscritto
in una sfera: se orientiamo il tetraedo, in maniera tale che un suo
vertice guardi a nord, i suoi angoli toccano la sfera ad una latitudine
sud di 19,5°.
A questa latitudine sono situati
moltissimi complessi sacri nonché la macchia rossa di Giove, il monte
Olimpo di Marte, la macchia scura di Nettuno e la zona di massima
attività delle macchie solari. Hesemann chiede se siamo in presenza di
fortuite coincidenze oppure di una legge astrofisica che non conosciamo
ancora.
E ancora. Quando Hoagland incontrò Bruce
De Palma del MIT, “Massachussets Institute of Technology”, studioso dei
della fisica dei corpi in rotazione, entrò in contatto con un’ipotesi
accarezzata da molti scienziati (tra cui Adam Trombly) secondo cui una
sfera in rotazione apre una “porta” attraverso cui fluisce energia
coerente, sorta di iperspazio tra la nostra dimensione ed una quarta.
Troppe coincidenze, troppi dettagli per
potere escludere a priori una mano artificiale nella edificazione del
complesso di Cydonia.
Terra: Il nuovo Eden
Insomma, Marte è incredibilmente più
vivo di quello che pensiamo e ogni indizio porta a pensare a un pianeta
che centinaia di migliaia di anni fa non solo poteva tranquillamente
essere ricco di vita, ma probabilmente ha visto evolversi sulla sua
superficie una razza senziente la quale raggiunse livelli tecnologici
tali da consentire loro viaggi interplanetari per alcuni intrepidi
esploratori. E forse quelle poche migliaia di “persone”, di Anunnaki che
riuscirono a mettersi in salvo dal loro pianeta prima che venisse
devastato dallo scontro con un altro corpo celeste portando sulla Terra
tutto ciò che riuscirono a salvare non erano neppure così tanto diversi
da noi.
Già in precedenti articoli avevamo
approfondito il tema della nascita del genere umano come risultato di
una manipolazione genetica tra una razza extra-terrestre (a questo punto
oserei dire marziana) e una specie autoctona del pianeta Terra, di modo
da garantire forza-lavoro ai superstiti della distruzione planetaria
che il loro pianeta madre dovette subire.
Una serie di indizi comprovanti di una
manipolazione genetica alla origine del genere homo sapiens tra cui la
ricerca genetica di K.Pollard, le particolarità legate al fattore Rh- e
l’immancabile mito sumero, questa volta l’”Inuma Ilu Awilum”, il quale
descrive con dovizia di particolari (traducibile in “Quando gli dei
erano come gli uomini”) il momento in cui gli Anunnaki si ammutinano a
causa del pesante lavoro a cui erano sottoposti sul pianeta Terra,
rendendo necessaria quella ricerca scientifica che porterà alla
creazione del genere Homo.
Ecco di seguito quanto riportato nell’antico testo sumero:
Il giogo fu spezzato dopo che un Anunnaki, Enki, promosse la seguente soluzione, sempre narrata nell’Inuma Ilu Awilum:“… quando gli dei erano come gli uomini sopportavano il lavoro e la dura fatica. La fatica degli dei era grande, il lavoro pesante e c’era molto dolore, … per 10 periodi sopportarono le fatiche, per 20 periodi … Eccessiva fu la loro fatica per 40 periodi,… lavoravano duramente notte e giorno. Si lamentavano e parlavano alle spalle. Brontolavano durante i lavori di scavo e dicevano: Incontriamo … il comandante, che ci sollevi dal nostro pesante lavoro. Spezziamo il giogo!…”
“…abbiamo fra di noi Ninmah, che è una Belet-ili, una Ninti (dea della nascita). Facciamole creare un Lulu (ibrido), facciamo che sia un Amelu (lavoratore) a sobbarcarsi le fatiche degli dei! Facciamole creare un Lulu Amelu, che sia lui a portare il giogo…”
La narrazione prosegue con
l’identificazione nell’Abzu (l’Africa) di una creatura adatta allo
scopo, l’homo erectus, e che ciò che doveva essere fatto era “…
imprimergli l’immagine degli dei…” usando le parole dell’epopea:
effettuare un innesto genetico, se dovessimo utilizzare termini
scientifici attuali.
La creazione del genere Homo
Gli Anunnaki (ed Elohim, forse sono i
medesimi soggetti) provenienti da Marte, giungono alla realizzazione del
loro ‘capolavoro’… l’Uomo. E lo fanno mischiando il loro patrimonio
genetico “marziano” con il DNA autoctono degli Erectus, o, come
l’antropologia ci aiuta a comprendere, con il parente più prossimo del
Sapiens, ovvero l’Homo Heidelbergensis, vissuto tra 600mila e 100mila
anni fa da cui ebbero origine i tre ‘rami’ del genere Homo più vicino a
noi: Denisoviani, Neanderthal e Sapiens (Cro-Magnon)
Questa specie rispetto ai suoi parenti
più stretti aveva delle dimensioni anomalmente grandi, infatti i
ritrovamenti suggeriscono dimensioni medie di circa 190 cm di altezza e
una corporatura più massiccia e muscolosa di ogni altro ominide
appartenente al genere Homo. Secondo il professor Lee R. Berger
dell’Università di Witwatersrand, numerose ossa fossili risalenti a
circa 500-300 000 anni fa ritrovate sulla costa sud africana indicano
che alcune popolazioni di Homo heidelbergensis erano “giganti” con
dimensioni medie di circa 213 cm di altezza.
E guarda caso, quando i nostri
antenati descrivono i loro “Antichi Dei”, spesso si rivolgono a loro
come “giganti”. Celebre il passo biblico della Genesi 6:1-8:
… Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte.
Il SIGNORE disse:
«Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni. In quel tempo c’erano sulla terra i giganti, e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi».
Ai quali mi sento di aggiungere Numeri 13:25-33 in cui tra le altre cose l’assonanza tra un popolo di giganti residente in Palestina e il termine sumero Anunnaki è praticamente evidente:
… Dopo quaranta giorni tornarono dall’esplorazione del paese e andarono a trovare Mosè e Aaronne e tutta la comunità dei figli d’Israele nel deserto di Paran, a Cades: riferirono ogni cosa a loro e a tutta la comunità e mostrarono loro i frutti del paese. Fecero il loro racconto, e dissero: «Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ed ecco alcuni suoi frutti. Però, il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e grandissime, e vi abbiamo anche visto dei figli di Anac. Gli Amalechiti abitano la parte meridionale del paese; gli Ittiti, i Gebusei e gli Amorei, la regione montuosa; e i Cananei abitano presso il mare e lungo il Giordano». Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè, e disse: «Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo». Ma gli uomini che vi erano andati con lui, dissero: «Noi non siamo capaci di salire contro questo popolo, perché è più forte di noi». E screditarono presso i figli d’Israele il paese che avevano esplorato, dicendo: «Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo vista, è gente di alta statura; e vi abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti. Di fronte a loro ci pareva di essere cavallette; e tali sembravamo a loro…».
E ancora Deuteronomio 1:28-30
… Dove andiamo noi? I nostri fratelli ci
hanno fatto perdere il coraggio, dicendo: “Quella gente è più grande e
più alta di noi; vi sono grandi città fortificate fino al cielo; e vi
abbiamo visto perfino degli Anachiti”. Io vi dissi: «Non vi spaventate e
non abbiate paura di loro. Il SIGNORE, il vostro Dio, che vi precede,
combatterà egli stesso per voi, come ha fatto tante volte sotto gli
occhi vostri in Egitto…
Deuteronomio 2:9-11
… Il SIGNORE mi disse: «Non attaccare
Moab e non muovergli guerra, perché io non ti darò nulla da possedere
nel suo paese, poiché ho dato Ar ai figli di Lot, come loro proprietà.
Prima vi abitavano gli Emim: popolo grande, numeroso, alto di statura
come gli Anachiti. Erano anch’essi considerati come Refaim, al pari
degli Anachiti, ma i Moabiti li chiamavano Emim…
Deuteronomio 9:1-3
… Ascolta, Israele! Oggi tu stai per
passare il Giordano per andare a impadronirti di nazioni più grandi e
più potenti di te, di città grandi e fortificate fino al cielo, di un
popolo grande e alto di statura: dei figli degli Anachiti che tu conosci
e dei quali hai sentito dire: «Chi mai può resistere ai figli di Anac?»
Sappi dunque oggi che il SIGNORE, il tuo Dio è colui che marcerà alla
tua testa come un fuoco che divora; egli li distruggerà e li abbatterà
davanti a te; tu li scaccerai e li farai perire in un attimo, come il
SIGNORE ti ha detto…
Deuteronomio 3:10-11
… tutte le città della pianura, tutto
Galaad, tutto Basan fino a Salca e a Edrei, città del regno di Og in
Basan. Poiché Og, re di Basan, era rimasto solo della stirpe dei Refaim.
Ecco, il suo letto, un letto di ferro, non è forse a Rabbat degli
Ammoniti? Ha nove cubiti di lunghezza e quattro cubiti di larghezza,
secondo il cubito di un uomo…
Cronache 11:22-24
Poi veniva Benaia, figlio di Ieoiada,
figlio di un uomo di Cabseel, valoroso e celebre per le sue prodezze.
Egli uccise i due grandi eroi di Moab. Discese anche in mezzo a una
cisterna, dove uccise un leone, un giorno di neve. Uccise pure un
Egiziano di statura enorme, alto cinque cubiti, che teneva in mano una
lancia grossa come un subbio da tessitore; ma Benaia gli scese contro
con un bastone, strappò di mano all’Egiziano la lancia, e se ne servì
per ucciderlo. Questo fece Benaia, figlio di Ieoiada; e fu famoso fra i
tre prodi.
E infine Samuele 17:4-5
Dall’accampamento dei Filistei uscì un
campione di nome Goliat, di Gat, alto sei cubiti e un palmo. Aveva in
testa un elmo di bronzo, indossava una corazza a squame che pesava
cinquemila sicli di bronzo…
[Nota sul cubito per consentire al
lettore di calcolare le dovute dimensioni dei personaggi citati nei
passi biblici. Un cubito equivale a 44 cm per cui Golia era alto più o
meno 2,5 metri, mentre il letto del re citato in Deuteronomio 3:10-11
era lungo 3,5 metri.]
Storie di antichi giganti
Oltre alle citazioni presenti nei libri sacri sembrano esistere dei veri e propri ritrovamenti, purtroppo non comprovati e accettati dalla realtà scientifica internazionale (per ovvi motivi) ma che desideriamo riportare nel seguente sommario elenco, da prendere con il beneficio del dubbio, ma che certamente non può passare inosservato.- Nel 1895 Mr. Dyer nel corso di attività minerarie nella contea di Antrim, in Irlanda, scoprì un gigante fossilizzato. L’altezza che presentava era di 3,70 metri, e in più il piede destro presentava sei dita.
- Nel MT. Blanco Fossil Museum (USA) è conservato un femore umano lungo “quasi” quanto la statura di un uomo medio, ritrovato in Mesopotamia. L’uomo sarà stato alto almeno circa 5 metri. Quella che segue è la foto dell’osso conservato nel suddetto museo.
- Gargayan: scheletro umano alto 5,18 metri.
- Ceylon: resti umani di individui alti certamente circa 4 metri.
- Zone sud-orientali della Cina: ossa umane di individui alti certamente più di 3 metri. Furono anche trovati attrezzi dalle dimensioni sconcertanti che per essere maneggiati bisognava avere una forza impressionante e si deve essere alti non meno di 4 metri: 500 asce bipenni del peso singolo di 8 Kg.
- Tura, nell’Assam (Pakistan occidentale): scheletro umano dell’altezza di circa 3,35 metri.
- Cina meridionale: denti grossi circa sei volte di più dei nostri e sono denti appartenuti ad un uomo gigante.
- Isole di Giava 1940: una mascella inferiore appartenente ad un uomo alto certamente circa 3,50 metri per le sue proporzioni.
- Nel Tibet: Sven Hedin affermò di avere visto mummie gigantesche nascoste in luoghi molto profondi.
- Nei sedimenti lacustri di Ol Dway (in Africa del sud): impronte fossili umane su antichi fanghi pietrificati e che hanno dimensioni esorbitanti.
- Australia sud-orientale: impronte su fango pietrificato, scoperte dal paleontologo Rex Gibroy riguardante fossili di giganti: si trattava infatti di mani e di piedi abnormi. Le dita dei piedi misuravano 18,5 cm, mentre la mano dal polso all’estremità del medio misurava 28 cm.
- Caucaso: trovati recentemente scheletri di circa 3 metri da antropologi sovietici.
- Glozel (Francia): si possono vedere impronte di mani gigantesche di migliaia di anni fa. Nel 1925 furono rinvenuti ossa giganti, utensili e monili di forma enorme.
- Nel 1577, Willisau Lucerna: vennero alla luce resti di uno scheletro dalle ossa enormi, che appartenevano ad un uomo alto circa 5,80 metri.
- Hernan Cortes e quando gli spagnoli con lui sbarcarono in America: furono mostrati dagli indigeni del posto, a Hernan Cortes, ossa gigantesche fra cui un femore lungo quanto un uomo di normale statura, che Cortes spedì al suo re.
- California 1810: fu rinvenuto uno scheletro di un gigante, con la stranezza che aveva sei dita ai piedi, ed un cranio di proporzioni davvero abnormi.
- Nel Continente Americano, nel 1870: indiani della tribù Omaha dissotterrarono giganti i cui teschi misuravano la bellezza di 60 cm.
- A Shemya (Isole Aleutine): vennero ritrovate nel 1943, ossa di proporzioni incredibili, e, crani, anche in questo caso di 50-60 cm.
- Agadir (in Marocco): è stato ritrovato un insieme di utensili antichi, utilizzabili stando alle proporzioni, solo da uomini di almeno 4,50 metri di altezza.
- Perù, Cina, Italia: denti umani grandissimi sono stati ritrovati in questi paesi. In Cina vengono chiamati “denti di drago”.
Chiesetta del Bresciano, San Salvatore: pare che delle ossa gigantesche possano essere osservate attraverso la grata di una cripta. - Nel 1663 nella cittadina di Tiriolo (PR. Catanzaro): nel corso di alcuni scavi emerse una tomba di dimensioni gigantesche e al suo interno uno scheletro enorme di un gigante.
- Fernando da Alba, uno storico del periodo della conquista spagnola del nuovo mondo: narrava che i resti di uomini giganti in Messico (nella nuova Spagna) si potevano trovare facilmente.
- In Inghilterra: riesumato uno scheletro di un guerriero, il quale misurava un altezza di 2,80 metri.
- Giovan Battista, canonico e studioso vercellese, vissuto fra il XVI ed il XVII secolo: trovò nella Chiesa di San Cristoforo, in Vercelli, un dente gigantesco, conosciuto come “dente di San Cristoforo”. A Giovan Battista si devono anche gli studi sui giganti di Saletta.
- Intorno al 1810, a Braystown (Tennesse): vennero rinvenute orme di piedi umani da sei dita di circa 32 cm di larghezza.
- Sull’Isola di Santa Rosa, nel canale di santa Barbara (California): fu ritrovato un teschio appartenente ad un gigante umano.
- A Lampock Ranch (California): alcuni soldati rinvennero lo scheletro di un gigante, ma lo sotterrarono nuovamente per ordine di un frate cattolico, poiché i nativi locali erano adirati da tale profanazione, credendo che tali resti appartenevano ad un antico dio.
- Negli anni 70 un proprietario terriero, Martinez, in Messico: rinvenne le ossa di due uomini d’indicibile altezza.
- Lo Storico Erodoto (storie 1-68): narra di un ritrovamento di un gigante di circa 3,10 metri di altezza. (…)
Questo elenco non e’ completo. Sono veramente molte tesitmonianze di ritrovamenti, tanti, anche per essere una semplice burla.
Il che ci riporta ancora una volta a una
delle caratteristiche del nostro ‘vicino di casa’. Sulla superficie di
Marte infatti l’accelerazione di gravità è mediamente pari a 0,376 volte
quella terrestre. A titolo di esempio, un uomo con una massa di 70 kg
che misurasse il proprio peso su Marte facendo uso di una bilancia
tarata sull’accelerazione di gravità terrestre registrerebbe un valore
pari a circa 26,3 kg. Questo rende possibile che in situazioni di bassa
gravita’ gli esseri possono svilupparsi in maniera inponente ed assumere
forme di gigantismo, che e’ quello che accadde ai dinosauri.
Il Dr. Holden a rigurado ha calcolato il rapporto peso/potenza
di un sollevatore di pesi, uomo, ben allenato e lo ha ingrandito fino
alle dimensioni di un dinosauro. Ancor prima di raggiungere la
dimensione massima, il sollevatore non sarebbe stato in grado di
sollevare nemmeno il suo stesso peso. La potenza, in relazione al peso,
impone un limite alle dimensioni massime. I calcoli di Holden indicano
che tale limite è avvicinato dagli attuali elefanti più pesanti.
I dinosauri più grandi avevano una dimensione che era svariate volte quella di un elefante. Inoltre gli scheletri dei dinosauri non sono nemmeno strutturati così bene per sopportare il peso come invece gli scheletri degli elefanti. I dinosauri hanno una grandezza incompatibile per il pianeta Terra, eppure le loro ossa dimostrano che sono esistiti.
Come può essere? Il limite sulla dimensione dipende dal peso, e il peso dipende dalla forza di gravità.
La maggior parte delle teorie convenzionali ritengono che la gravità nell’universo sia sempre stata e sarà sempre una proprietà costante della materia.
Si tratta di una variabile che dipende dal circostante plasma ambientale.
La Terra dell’era Mesozoica può avere avuto una gravità minore di quella odierna. Holden ha calcolato che la gravità necessaria alla vita dei più grandi dinosauri debba essere stata almeno 1/3 (e forse fino a 1/4) del valore attuale. Ha inoltre teorizzato che la gravità sia improvvisamente aumentata verso la fine dell’età dei dinosauri anche se non fino al valore attuale. Un valore di gravità inferiore al presente è persistito nelle epoche successive popolate di mammiferi giganti e forse fino ai giorni in cui i primi umani costruirono monumenti enormi quali Stonehenge.
Qualche anno fa sulla rivista Focus,
appariva un articolo che voleva illustrare una nuova tesi, questa tesi
dice: eventuali forme di vita extraterrestri residenti in altri mondi
planetari, si evolverebbero diversamente dagli esseri umani e da altre
forme di vita terrestri, questo per via delle condizioni planetarie
primarie in loco, ovvero le caratteristiche primarie in senso
astronomico, e non in primo luogo, quelle climatiche o geologiche stesse
del mondo in questione.
Queste caratteristiche astronomiche sono:
l’attrazione gravitazionale del pianeta, la massa, il peso e le altre
caratteristiche di questo tipo; queste caratteristiche possono
modificare l’evoluzione della vita in senso di caratteristiche
fisiologiche e conseguenze generate da queste, infatti si sosteneva (e
si sostiene ancora), che l’altezza media, la massa corporea, il peso, e
le caratteristiche muscolo/scheletriche, nonché che la forza,
l’elasticità e la resistenza di un corpo animale, derivano dalla somma
di questi fattori planetari, successivamente influenzati dalle
caratteristiche della biosfera di superficie e quindi anche
dall’atmosfera.
L’esempio che veniva preso era quello di Marte, dove si immaginava l’evoluzione di animali molto grandi e altissimi.
Qualcuno potrebbe sostenere a questo
punto, che se gli Anunnaki esistono o esistettero, e se vennero in
passato sulla Terra, le loro gigantesche proporzioni sarebbero dovute ad
un pianeta molto piccolo e quindi con deboli forze astronomiche, ed in
particolar modo scarsa attrazione gravitazionale. Potrebbero persino
sostenere che il gigantismo si riassorbì portando le caratteristiche ad
una più bassa dimensione in altezza, per via del nascere e del vivere in
un pianeta con caratteristiche diverse e maggiore attrazione
gravitazionale come la Terra. Ma sappiamo benissimo che secondo Sitchin
ed anche altri studiosi, se Nibiru esistesse, sarebbe grande almeno il
doppio della Terra, e dovrebbe essere molto massivo, potrebbe avere
infatti, un attrazione gravitazionale almeno di quattro volte quella
terrestre; ma allora, come potrebbe essere che essi sono giganti?
Fonte:
http://www.progettoatlanticus.net/2014/01/marte-storia-di-un-antico-esodo.html –
http://ufoplanet.ufoforum.it/headlines/articolo_view.asp?ARTICOLO_ID=10084
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